Sì, esiste una tassazione nel trading sui guadagni che realizziamo tramite le nostre operazioni. Come purtroppo però spesso accade in Italia, le norme e i comportamenti da seguire per evitare di incappare in problematiche fiscali non sono sempre chiare, motivo per il quale abbiamo deciso di preparare una guida completa alla tassazione del trading.
O meglio, a quanto dovremo versare nelle tasche dello Stato e dell’erario di quanto andremo, si spera, a guadagnare sui mercati finanziari. C’è da pagare – tanto – almeno in relazione a quanto viene pagato in altre legislazioni che sono più morbide verso i redditi da capitale. Ma non è questo il punto della nostra discussione di oggi.
Come avremo modo di vedere nel corso della nostra guida di oggi, i due grandi sistemi per pagare sono due: il regime dichiarativo e il regime amministrato. Con il primo che, per chi investe in libertà, è la migliore delle opzioni che abbiamo effettivamente a disposizione per pagare le nostre tasse relative al trading.
Tassazione nel trading cos’è: spiegazione
Ogni tipo di reddito, almeno in Italia, viene tassato. Quanto generiamo a livello reddituale con il trading non è escluso da questo computo. Siamo comunque in un campo diverso della tassazione del reddito da lavoro, che tipicamente viene tassato tramite IRPEF. Come avremo modo di vedere, i redditi da capitale seguono in Italia (così come in tanti altri paesi del mondo) una logica propria e completamente scollegata da quella dei redditi da lavoro.
Lo Stato vuole – per alcuni ragionevolmente, per altri meno – mettere le mani su una fetta di quanto siamo riusciti a guadagnare, talvolta neanche preoccupandosi del fatto che a quei guadagni possano essere succedute delle perdite.
Come funziona la tassazione nel trading
È impossibile parlare di una sola modalità di tassazione nel trading, perché come abbiamo già anticipato nel corso della nostra introduzione, in realtà ci sono due alternative. Parliamo del broker o dell’intermediario come sostituto di imposta, oppure di broker che agiscono in modo completamente neutro rispetto alla tassazione dei proventi del trading.
Nel primo caso – quello del regime amministrato, è il broker che si preoccupa di pagare tasse sulle nostre plusvalenze. Quello che vedremo nel nostro portafoglio a livello di capitale liquido, sarà già al netto delle tasse. In questo caso la responsabilità del calcolo e del pagamento delle imposte è in capo al broker.
L’alternativa è quella del regime dichiarativo, dove è il trader online / risparmiatore a dover calcolare la quantità di tasse da pagare e, successivamente, a pagarle. Si è meno tranquilli, perché comunque saremo noi ad avere la responsabilità diretta di quanto andremo a pagare. Ma al tempo stesso – e torneremo su questo punto più avanti – potremo avere una gestione fiscale più efficiente.
Come si pagano le tasse del trading
Ancora una volta dipende dal tipo di regime che il nostro broker ci offrirà. Nel caso infatti di regime amministrato, il trader non dovrà fare nulla, perché sarà per l’appunto il broker a doversi preoccupare sia del calcolo che del pagamento delle imposte.
Nel caso invece del regime dichiarativo, con il broker che si limita a rendicontare le attività, il trader dovrà preoccuparsi di pagare il dovuto in sede di dichiarazione con Modello Redditi Persone Fisiche. Nello specifico i guadagni ottenuti tramite il trading vanno sotto la voce Altri redditi diversi di natura finanziaria: quadro RT, Rigo 41.
🥇Migliori broker con rendicontazione delle attività per dichiarazione a norma di legge
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Abbiamo scelto quelli che riteniamo essere i migliori 5 broker che offrono rendicontazione delle attività. Ovvero uno strumento che all’inizio di ogni anno viene mandato dai broker, per avere un conto esatto di quanto si è guadagnato e quanto si è perso nell’anno precedente. Strumento fondamentale per chiunque sia in regime dichiarativo.
- 1 – eToro
eToro (qui per il sito ufficiale) è un broker che consigliamo anche per motivo che prescindono dalla rendicontazione annuale che questo specifico broker offre. Siamo infatti davanti ad un broker CFD che permette ormai da tempo di fare trading anche in DMA su determinati titoli, che offre una piattaforma semplice e trasparente e che è anche leader del CopyTrading a livello mondiale.
eToro (che qui si può testare in demo gratis) è un broker che offre più di 2.100 titoli e che permette di avere una rendicontazione generale su tutte le nostre operazioni, per pagare il minimo indispensabile consentito dalla legge.
- 2 – Capital.com
Anche Capital.com è un ottimo broker per trading in CFD, che offre accesso ad un gran numero di mercati e che permette inoltre di investire con una piattaforma semplice e direttamente via web. Leader dell’applicazione dell’intelligenza artificiale – ha spread molto bassi e una posizione molto solida sul mercato.
Possiamo testalo qui in conto dimostrativo gratuito. Quando passeremo al conto reale, ci verrà offerta da questo broker la possibilità di ottenere una rendicontazione annuale completa, che ci permetterà di adempiere ai nostri obblighi fiscali in modo semplice e rapido.
- 3 – FP Markets
Anche questo è un broker molto conosciuto, che opera in Australia e ormai da tempo anche in Europa – avendone ottenuto licenza. FP Markets (qui per aprire una demo gratuita), è un broker che permette di investire su oltre 11.000 titoli, tra i quali non possiamo che segnalare anche azioni USA del segmento mid e small cap.
FP Markets offre una rendicontazione completa di quanto abbiamo svolto a livello di operazioni, favorendo anch’esso un conteggio fiscale semplice e immediato.
- 4 – IQ Option
IQ Option (per il sito visita questo sito) è un broker tarato maggiormente sulle necessità di chi investe. Perché per l’appunto permette di aprire un conto di trading reale con soli 10 euro. Questo non vuol dire che questo broker faccia alcun tipo di compromesso sulla qualità dei suoi servizi.
Servizi che possono essere testati gratis aprendo una demo di IQ Option, sempre gratis e sempre a disposizione di chiunque abbia interesse a testare quanto offerto da questo broker. Ovviamente anche in questo caso abbiamo una rendicontazione aperta, semplice e trasparente.
- 5 – Trade.com
Ultimo, ma non meno importante dei broker che consigliamo per avere una rendicontazione degna di questo nome. Trade.com è broker CFD + DMA, che permette anche di accedere a IPO e risparmio gestito. In ciascuno di questi casi il broker in questione offre la possibilità di ottenere una rendicontazione completa, a fine anno, delle proprie attività. Chi vuole testare questo broker troverà qui, gratis, il suo conto demo, dove vengono appunto offerte tutte le funzionalità più importanti messe a disposizione da questo gruppo.
Esistono broker per fare trading sostituti d’imposta?
Se restringiamo la nostra analisi ai broker veri, a quei broker fuori dai circuiti bancari, che offrono piena libertà di investimento, la risposta è no. Non esistono broker effettivi che operino come sostituti di imposta.
Tutti i broker che abbiamo infatti citato poco sopra sono broker che operano in regime dichiarativo e che per l’appunto si muovono limitandosi ad offrire all’investitore una rendicontazione periodica delle attività, che include tanto le plusvalenze che le minusvalenze e che pertanto permette a tutti di calcolare in modo relativamente semplice il dovuto al fisco.
Quando un broker puro insiste sul fatto di operare come sostituto di imposta, meglio controllare di nuovo e più a fondo. Perché appunto siamo davanti , con ogni probabilità, ad una delle tante truffe che purtroppo ancora affollano il mondo del trading.
Di questo parleremo più diffusamente nel prossimo paragrafo che è dedicato per l’appunto ad una delle tipiche truffe del mondo del trading, ovvero la truffa della richiesta di imposte da parte di operatori che poi fuggono con il bottino.
Attenzione alle truffe!
Quella del broker falso sostituto di imposta è una delle truffe più comuni nel mondo del trading, parte finale di truffe particolarmente articolate. Si parte in genere con un broker privo di licenza europea o comunque offshore.
Questi broker talvolta offrono delle piattaforme non reali tramite le quali investire. Piattaforme che sono appunto truccate, per mostrare a schermo costanti e continui guadagni per il trader. Tutto molto bello, tutto particolarmente eccitante, se no fosse che in realtà quei guadagni non sono mai esistiti – e possiamo facilmente accorgercene dopo aver provato appunto a ritirarli.
Quando si decide finalmente di portare a casa l’enorme bottino accumulato, cominciano i primi problemi – e, nelle truffe più evolute, il trucco del sostituto di imposta. Il broker ci racconterà di non poter versare il nostro denaro, perché appunto soggetto a tassazione. E andrà anche a chiedere il 26%, che è poi l’imposta generica sui redditi finanziari.
In realtà si tratta di un trucco per sottrarre ulteriori denari ai poveri malcapitati. Versato quel 26%, infatti, il broker fasullo si darà alla macchia, avendo incassato con ogni probabilità delle somme importanti. Come evitare queste truffe?
- Affidarsi soltanto a broker in possesso di regolare licenza
Ovvero broker che sono in possesso di licenza europea MiFID. Sono broker che pur non operando come sostituti di imposta, possono garantire la massima trasparenza. Mai ci verranno a chiedere denari per pagare tasse inesistenti.
- Mai versare ad alcuno denaro per pagare le tasse
I broker che operano come sostituti di imposta, non lavorano in questo modo. Nello specifico, devono pagare le tasse utilizzando il capitale che è già presente sulla nostra piattaforma di trading online. Senza chiedere ulteriori versamenti a chi sta investendo.
Tasse sugli altri tipi di investimenti finanziari
Quali sono le tasse degli altri tipi di investimenti finanziari? Abbiamo visto che con CFD e simili si paga il 26% generico, ma che dire degli altri strumenti che possiamo acquistare direttamente? Faremo a questo punto della nostra guida un breve excursus su altri tipi di investimenti, che possono o meno essere tassati allo stesso modo dei CFD.
Le plusvalenze sulle azioni sono sempre tassate al 26%. Tramite i broker in regime dichiarativo possiamo inoltre controbilanciare le plusvalenze alle minusvalenze, applicando questa aliquota soltanto alla differenza tra guadagni e perdite.
Sono in realtà divise in due gruppi: da un lato abbiamo infatti le obbligazioni statali dei paesi non in black List, che godono di un trattamento fiscale di favore, che permette per l’appunto di pagare soltanto il 12,5%, dall’altro tutte le altre obbligazioni, sulle cui plusvalenze e cedole si paga il 26%.
Dopo una situazione per anni complicatissima, che prevedeva la tassazione dell’ETF al suo valore medio al termine dell’anno fiscale, oggi gli ETF, per evitare la doppia tassazione, sono considerati come altri redditi finanziari, e dunque sottoposti al 26% di tassazione. Fatta eccezione per le componenti obbligazionarie presenti eventualmente nei fondi. Lo stesso identico discorso può essere fatto per i fondi comuni di investimento.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate è particolarmente chiara a riguardo: le plusvalenze sulle criptovalute costituiscono imponibile e vanno pertanto tassate. Al 26% anche in questo caso, senza che ci sia una legislazione di favore o di sfavore nei confronti di questo specifico prodotto.
Stesso identico discorso per i contratti che rappresentano le materie prime, che potrebbero essere per l’appunto anche diversi dai CFD. La tassazione sulle plusvalenze è sempre all’interno del 26% che abbiamo analizzato sopra e può essere portato in detrazione a livello di minusvalenze.
Non pagare le tasse del trading è reato?
Sì. Non pagare le tasse sul trading è un illecito e, superate certe soglie, può prevedere anche uno sconfinamento nel penale. Questo sia da monito a chiunque crede che la longa manu dell’Agenzia delle Entrate non sia in grado di recuperare informazioni su nostre eventuali operazioni in profitto.
Da un lato infatti abbiamo una rete bancaria europea che ormai non ha più segreti per nessuno degli enti e delle agenzie che si occupano di entrate tributarie. Dall’altro l’obbligo per i broker registrati di riportare le nostre eventuali plusvalenze, su richiesta, all’Agenzia.
Quindi il rischio è concreto, anzi, quasi certo , è di finire beccati. Se le questioni di ordine morale non sono abbastanza convincenti per chi ci segue, ci penseranno, immaginiamo, le questioni di carattere legale a far desistere chi pensava di poter evitare il pagamento delle tasse.
Come non pagare le tasse del trading
Su internet possiamo trovare innumerevoli guide di improvvisati “nomadi digitali”, che affermano di poter pagare praticamente zero di tasse sulle loro operazioni di trading, rifugiandosi in legislature che non prevedono appunto il pagamento di tasse sui guadagni ottenuti nel trading.
Purtroppo si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di fandonie messe in piedi per vendere questo o quel prodotto informativo, come corsi o libri. Chi è disposto a muoversi, con la residenza, anche di migliaia di chilometri potrebbe forse considerare la possibilità di emigrare verso paesi meno esosi sotto il profilo fiscale.
Chi però non ha ancora un reddito stabile che arriva dal Forex o dal trading, farà bene ad evitare questi voli pindarici e possibilmente a pagare le tasse. Dato che dei rischi che comporta la mancata dichiarazione abbiamo già parlato nel corso della nostra guida.
Trading Online Tasse: trucchi per pagarne meno (In modo legale)
La possibilità comunque di spostarsi in paesi dove la tassazione è molto più bassa esiste, ma dovrebbe essere nelle corde soltanto di chi ha già fatto del trading la propria professione. Ci sono per l’appunto paesi che non prevedono per il momento l’applicazione di alcuna tassa per i proventi del trading.
Nello specifico possiamo parlare di Andorra, di Hong Kong (almeno in parte) e delle Malesia: paesi che potrebbero essere presi in considerazione da chi per l’appunto ha già una posizione stabile sui mercati e ha deciso di fare del trading il centro nevralgico della propria professione.
In tutti gli altri casi, ovvero per chi volesse semplicemente limitarsi a pagare meno, sono da considerarsi anche paesi come la Bulgaria (dove si paga il 10%), Malta (dove invece si paga il 12%) e anche le Canarie, che godono di tassazione speciale al 15%.
Tasse nel forex: come distriscarsi
Tutto quanto abbiamo detto in questa guida si applica ovviamente anche al Forex, mercato che rientra a pieno titolo all’interno del settore finanziario. La tassazione da applicare sarà sempre, nell’anno fiscale, del 26%.
26% che però – lo ripetiamo ancora una volta – deve essere necessariamente applicato soltanto sulla differenza tra plusvalenze e minusvalenze. In questo caso pertanto diventa di fondamentale importanza andare a scegliere un broker che sia in grado di offrire una buona rendicontazione. eToro offre un dettaglio ideale per avere contezza di quanto si è effettivamente guadagnato e dunque di quanto versare a livello di tasse Forex.
Ricordiamo inoltre ancora una volta che il regime dichiarativo permette di portare eventuali perdite registrate sul Forex in compensazione con quanto guadagnato su altri settori. Un vantaggio non da poco per chi per si troverebbe invece a pagare tasse sui guadagni senza portare in sottrazione le perdite, come chi sceglie un intermediario in sostituto di imposta.
Per maggiori approfondimenti leggi: Guida completa al forex trading
Considerazioni finali
Le tasse sul trading ci sono e vanno pagate. Per i grandi investitori ci sono sicuramente soluzioni percorribili per pagare meno, anche se tutte prevedono lo spostamento fisico del trader in altra giurisdizione.
Il trading è comunque tassato meno del reddito da lavoro, motivo per il quale chi si dovesse trovare a fare questo di professione, ovvero ad investire sui mercati, si troverebbe enormemente avvantaggiato rispetto a chi invece vive di lavoro dipendente.
Qualcosa che sembrerà particolarmente strano a chi non conosce i sistemi fiscali, ma che è, per non deprimere gli investimenti, una realtà in praticamente ogni paese del mondo.
Tasse nel Trading: Domande e risposte frequenti
Quante tasse si pagano sul trading online?
In via generale si paga il 26%, con uno sconto al 12,5% per le obbligazioni statali dei paesi in white list.
Cosa significa regime amministrato per la tassazione del trading?
Il regime amministrato per la tassazione del trading significa che il broker di trading online opera come sostituto di imposta e calcola e paga, con i nostri soldi, le tasse dovute.
Cosa significa regime dichiarativo per la tassazione del trading online?
Nel regime dichiarativo saremo noi a calcolare plusvalenze e minusvalenze e saremo noi stessi a pagare quanto dovuto al fisco.
Esistono broker che fanno da sostituti di imposta?
Tipicamente no. Sono le banche e gli intermediari ad esse collegate che offrono questo tipo di regime.
Si può evitare di pagare le tasse sul trading?
No. O meglio, evitare di pagare quanto dovuto apre a scenari potenzialmente anche penali. Ogni reddito da capitale è tassato, almeno nel nostro Paese, compresi i proventi del trading online.